martedì 22 dicembre 2015
Vetro prima di Vetro
Vetro è nato davanti al mare. Due figlie, Beatrice di dodici anni e Teresa di cinque.
Stavamo per entrare in acqua quando Teresa ha raccolto un piccolo frammento verde bottiglia scovato in mezzo alla sabbia e a pezzettini di conchiglia. Era così sorpresa del colore, della forma che ha pensato subito a uno strepitoso ritrovamento, una pietra preziosa, forse magica. Mentre me lo mostrava mi sono ricordata che anni prima anche Beatrice aveva giocato con dei frammenti molti simili. Avevamo pure inventato una storia. Mentre cercavo di riacchiapparla nella memoria, Teresa va da lei per mostrarle quello che ha trovato. Mi volto per osservare. Eccole: Beatrice guarda l’orizzonte largo e luminoso, i piedi in acqua. Teresa alza le mani a coppa, lei abbassa lo sguardo e le dice: «Lascialo giù, è solo un vetro».
Non era una scortesia, né un dispetto. Era quello che vedeva. Tanto che Teresa non si è scoraggiata affatto ed è tornata da me, si è assicurata che lo mettessimo al sicuro e poi siamo entrati tutti in acqua.
Entrare nell’adolescenza è davvero entrare in una galleria. Tutti ti avvertono di una trasformazione imminente, anzi già in atto. Ma il vero, primo ingresso nell’adolescenza è forse un attimo preciso di consapevolezza.
Sarà capitato a tutti un qualche momento particolare verso l’inizio dell’adolescenza in cui improvvisamente abbiamo avuto consapevolezza della vita e del mondo che ci circonda, della loro complessità e della loro finitezza. È stato un momento emozionante, contemplativo, confusamente carico di meraviglia e di dolore. (…) “Ma allora è dunque questo la vita?”, dove “questo” sta a indicare qualcosa di duro, di inscalfibile, di spietato e nel contempo di ipnotico e seducente, che affascina nell’istante stesso in cui delude irreparabilmente. La seconda nascita, Fenomenologia dell’adolescenza di Giuseppe Pellizzati, Franco Angeli.
Duro, inscalfibile, spietato. Vetro.
Così, nei mesi successivi, seduta a bordo campo mentre Beatrice giocava le sue partite, mi sono portata dietro questo pensiero e ho provato a scrivere un breve racconto.
Quando l’ho terminato mi sono ricordata di un testo scritto a sedici anni e utilizzato in una minuscola mostra che avevo allestito in un piccolo borgo l'anno successivo.
“Cuore mio/ pezzo di vetro/ attraverso vedo distorto”, iniziava così.
Era quello che sentivo. Più mi studiavo e mi guardavo in quel momento e meno mi afferravo. Sentivo il bisogno di un pensiero tagliente che facesse ordine. Attraverso il cuore non vedevo chiaramente. Per la mostra, dopo aver provato varie soluzioni (in giro con mia mamma su una Renault 5 per vetrerie di campagna) mi decisi per una mattonella di quelle da bagno o da piscina e incorniciai il testo mettendolo sotto vetro. L’effetto era quello che volevo io.
Così ho recuperato parte di quel testo e l’ho completato. Il testo scritto a quattro mani con me stessa è finito in quarta di copertina.
Quando il libro è uscito mi sono chiesta se quella mattonella ci fosse ancora. Ho saputo che mio padre l'aveva conservata nel suo garage. Sono andata prenderla e l'ho fotografata con il testo nuovo.
Crescere è emozionante e complicato. A volte si passa per sentieri difficili nei quali si hanno rivelazioni inaspettatamente deludenti e seducenti insieme.
Quest’anno spero mi capiterà di scrivere con i ragazzi. L’editore Fulmìno (edizioni@fulmino.it) ha infatti preparato delle bellissime cartoline. Sono state pensate per scrivere a se stessi, come fa la protagonista del racconto. Un promemoria su chi siamo in questo momento, su cosa ci piace, cosa desideriamo, cosa ci fa paura. Così, usciti fuori dalla galleria, sapremo riconoscerci e salutarci come si deve. Perché per tante cose che si lasciano andare ce ne sono altre che resteranno. Per me ad esempio, una cornice con un vetro, l'inizio di una poesia e il nome scritto a destra su un foglio di acetato nella fotografia in alto.
P.S.
Questa è la recensione di Vetro scritta per la rivista Andersen da Caterina Ramonda che ringrazio di cuore.
lunedì 14 dicembre 2015
Poesia in coda
Duro intelligere e morbido sentire
il peggio che ci possa capitare.
Sono affezionatissima a questo distico di Patrizia Cavalli perché descrive esattamente le persone che più mi incuriosiscono e con le quali mi sento in sintonia. Antonio, per dire, me lo sono scelto così.
"Duro intelligere". Magari sbaglio ma ho sempre inteso con queste parole l'affondo del pensiero senza sconti, quello che tocca le giunture, che non si ferma finché non ha portato a compimento la sua indagine. Ecco, quando questo modo di vedere le cose si incontra con un sentire "morbido", capace di accogliere, di compatire e sentire l'altro profondamente allora si è dentro a un orizzonte scomodissimo ma, per il mio punto di vista, pienamente umano, contraddittorio, fecondo.
Appena ho conosciuto Giovanna Zoboli sono stata certa che questo "peggio che possa capitare" fosse toccato anche a lei.
Qualche settimana fa ho ricevuto in regalo le sue poesie, due libri.
Prima avevo letto solo un paio di poesie postate sul blog Topipittori che mi avevano molto colpita: una dedicata a un gatto triestino (http://topipittori.blogspot.it/2012/07/il-gatto-dei-topi.html) e l'altra a un particolare della pala di Brera di Piero della Francesca (http://topipittori.blogspot.it/2014/04/ab-ovo.html).
I libri però non li conoscevo.
Me li sono portata a spasso in questi giorni. In particolare durante i colloqui dei figli. È stato interessante. Non solo perché le poesie di Giovanna sono veramente belle, con il suo gusto per il suono, per la chiarezza, la nitidezza della sua ricerca ma anche il senso profondo, la compassione che si legge in ogni pagina e che ha fatto sorgere qualche considerazione come note a margine del pomeriggio speso nei corridoi illuminati dai neon.
Per chi frequenta i colloqui sa che, di norma, più si sale di grado con la scuola più sale il coefficiente di nervosismo e litigiosità degli adulti in attesa. L'ordine in coda non è rispettato, ci si apposta, ci si scruta, qualcuno lascia un figlio, una zia, la nonna a tenere il posto, la geografia dei volti si confonde, saltano i punti di riferimento, le notizie dietro la porta possono essere non ottime, poco soddisfacenti, cattive. E poi c'è la questione tristissima della competizione tra genitori che si riconoscono tra loro nemmeno avessero un cip e si mandano segnali ostili così potenti che friggerebbero un uovo se questo fosse sospeso in aria.
Beatrice ora è al secondo anno del liceo musicale, Giovanni alle medie, Teresa ancora alla primaria. Diciamo che facendo almeno 4 colloqui all'anno per ogni figlio a questa data abbiamo ormai un buon campionario (se ho fatto bene i conti siamo sui 72 colloqui senza contare gli anni della scuola dell'infanzia). Siamo stati abbastanza fortunati con la scuola in genrale, con gli abbinamenti, le classi, gli incarichi annuali, le sostituzioni. Ma anche quando tutto fila liscio può sempre capitare che tuo figlio semplicemente non sia stato "visto", messo a fuoco, che ti parlino quasi di una figuretta piatta, un numerino, un cognome. Come si spiegherebbe altrimenti la gratitudine che proviamo quando un professore dimostra di aver presente (nel bene e nel male) di chi si sta parlando?
Quindi? Quindi è utilissimo portarsi un libro di poesia mentre siamo in fila per ascoltare quello che i professori hanno da dire dei nostri figli.
Per ricordarci che il mondo è molto più grande di quella scuola. Che i nostri figli sono molto più forti, hanno molte più risorse e più potenzialità ma anche che possiedono più lati nascosti, più fragilità, più bisogni di quello che certificano i loro voti. Che mai dovremmo confondere le prestazioni scolastiche con il loro volto. Che tutto è più complesso e occorre una maggior cura dentro e fuori la scuola.
Che il mondo è più bello, più misterioso, più cupo e più luminoso insieme.
Duro intelligere, morbido sentire. Ecco quello che ci serve.
Per i prossimi colloqui, se volete passare un pomeriggio interessante, portatevi un libro di poesia in borsa. Brevi letture. Sbirciatine. Se poi vi prende particolarmente, vorrà dire che qualcuno vi ruberà il posto nella fila ma guadagnerete in pazienza, ampiezza, chiarezza della visione e tenerezza insieme, tornerete a casa con la voglia di dare un bacio ai vostri figli comunque sia andata.
E se volete fare questo esperimento io vi consiglio di cuore La solitudine dell'ospite (Manni) e A Milano nessuno è milanese (LietoColle) di Giovanna Zoboli.
Il suo sguardo è acuto, l'affondo del pensiero potente, alta la compassione che si posa su tutte le cose, sincero il suo sentire e il suo coraggio di nominare anche ciò che non si vede (e che si sa, è la parte che rimane spesso fuori delle griglie di valutazione e non di rado la più interessante).
martedì 24 novembre 2015
SCRIVERE ALLO SPAZIO BK con CARTA + VETRO + POESIA
Due parole su CARTA + VETRO + POESIA, due giorni di scrittura alla libreria Spazio bk.
Mi è servito tutto il lunedì per disfare le valigie, lavare, stirare, raccapezzarmi tra quello che avevano da fare i figli e gli arretrati. E me la sono cavata abbastanza bene. Ma il lunedì non è bastato per mettere ordine nei pensieri dopo il corso di scrittura.
Proprio perché “La vita non è in ordine alfabetico” ho deciso alla fine di lasciar perdere e non sistemare troppo ciò che non può essere piegato e stirato e riposto in un cassetto.
Quello che accade quando un gruppo di persone si ritrovano a scrivere insieme non è tra le cose più facili da raccontare perché sono tante le energie che si mettono in movimento, si toccano, ritraggono. La scrittura lavora dentro e fuori, crea ponti sottili come un capello, tenacissimi nel ricordo e nell’impressione profonda che lasciano alcuni testi. E poi ci sono passaggi, collegamenti e suggestioni che è bene che restino interne al gruppo a covare ancora un po'.
Perciò dirò soltanto che per me sono stati due giorni stupendi, densi, luminosi. Mi sono emozionata, commossa, divertita, sorpresa.
Il gruppo era assortito e fantastico. Ciascuno ha lavorato molto: scrivendo, condividendo la propria scrittura, andando più a fondo, più avanti, mettendosi alla prova. Ma non solo. Ciascuno ha fatto un lavoro serio di concentrazione e accoglienza ascoltando le storie degli altri e le voci di poeti e scrittori che via via proponevo.
Non è scontato che accada e che, durante un corso, si scrivano cose così belle.
Ringrazio davvero di cuore tutti.
Parto da Diletta Colombo e Chiara Bottani della libreria Spazio bk che hanno voluto questo appuntamento e lo hanno organizzato in modo impeccabile.
E ringrazio soprattutto chi ha scritto con me: Alice Keller, Kaika Kau, Giulia Mirandola, Vera Frigerio, Sara Dalla Pozza, Lodovica Cima, Sara Rossetti, Sara Stangherlin, Federica Rossi, Marco Ragaini, Paola Parazzoli, Stella Brambilla, Diletta Colombo.
In ultimo permettetemi un saluto anche all'elfo Joseph.
lunedì 16 novembre 2015
Poesia e carattere
Cesena Comics, un incontro con gli insegnanti attorno alle parole scelte e pesate, al suono e al senso. Ho portato i libri di poesia e anche la tenda. Ho lasciato nelle sue taschine tante poesie da regalare alla fine. Abbiamo letto, ragionato. Ho seguito un programma preciso, in dieci punti. Anche se scritto così può sembrare elenco piuttosto assurdo.
La poesia è una tenda
La poesia è un apriscatole
La poesia è un acceleratore
La poesia è il dono fatto agli attenti
La poesia è un passaggio segreto
La poesia è una voce che viene da lontano
La poesia è un vetro tagliente
La poesia è una tana dentro il silenzio
La poesia è un quadernetto
La poesia è rincorrere il tuo carattere
Per ogni frase ho raccontato qualche esperienza di scrittura o letto dei versi miei, di altri, brani di autori che amo e dai quali ho preso in prestito il titolo o qualche suggestione speciale. L'ultima frase ha dentro le parole di una bambina. Sono tratte dal bellissimo libro di Franco Lorenzoni "I bambini pensano grande".
L'autore sta conversando (e registrando) con i suoi alunni. La discussione verte su una domanda importante: "Possiamo arrivare a conoscere davvero noi stessi, conoscere chi siamo?" A un certo punto, una bambina di nome Marianna afferma: "Tu non puoi scoprire il tuo carattere, perché non è che in un punto si ferma, ed è quello per tutta la tua vita. No, continua. Tu devi rincorrere il tuo carattere".
Ecco, tra le altre cose ieri abbiamo scoperto che la poesia ci aiuta anche a fare questo.
giovedì 1 ottobre 2015
CARTA + VETRO + POESIA
Annuncio speciale.
Questo autunno c'è un appuntamento nel meraviglioso Spazio bk di Milano che mi riguarda, un laboratorio di scrittura che ho chiamato:
Questo autunno c'è un appuntamento nel meraviglioso Spazio bk di Milano che mi riguarda, un laboratorio di scrittura che ho chiamato:
CARTA+VETRO+POESIA
A passi svelti nella scrittura autobiografica
A passi svelti nella scrittura autobiografica
Si tratta di prendersi un weekend per scrivere.
È aperto a tutti gli interessati alla scrittura autobiografica, a chi non ha mai scritto, a chi ci pensa spesso ma non ha mai tempo, a chi scrive da sempre e vuole scrivere insieme a un gruppo, a chi ha voglia di mettersi alla prova adesso, a chi vuol iniziare a scrivere insieme a bambini e ragazzi, agli insegnanti.
Che altro dire?
Mi piacerebbe scrivere insieme a voi.
Per gli indecisi vale questa frase che mi ha sempre aiutato moltissimo:
Se si vuol scrivere, bisogna tagliar corto e scrivere (Natalie Goldberg)
Le informazioni precise di trovano qui:
http://www.spaziobk.com/cartavetropoesia/
Le informazioni precise di trovano qui:
http://www.spaziobk.com/cartavetropoesia/
martedì 29 settembre 2015
Ai fratelli, a tutte le sorelle
Pagina tratta da In mezzo alla fiaba Topipittori
Tra le fiabe che volevo ascoltare e riascoltare, c’erano Pollicino e Hansel e Gretel. In entrambe la fame e la decisione di abbandonare i bambini nel bosco. E non è cosa che si possa addomesticare nella lettura. Via i bambini. Si può fare, si fa.
Quanto sollievo però non essere soli in quell'abbandono. Un’emozione ancora più forte in Hansel e Gretel che mi permetteva di vedere due figure stagliarsi nella notte, questa coppia, non uno più uno ma il contrario di uno, il numero minimo per fronteggiare il buio del bosco. Quattro occhi, quattro piedi, due mani strette, una soluzione in tasca. E, nel fallimento delle briciole, la consolazione e la forza di essere insieme.
Tutto il resto, la casa, lo zucchero, la strega, la gabbia, l’ossicino, il forno, è un gioco rispetto a quell’incedere notturno. A tutti servirebbe un fratello, uno che non si smarchi come Caino («Sono forse io il custode di mio fratello?»). Con questa idea, forte del mio camminare a fianco di un fratello maggiore, ho scritto questa poesia.
Oggi questo mi fa pensare anche ad altro. Sempre di più. Che un fratello per esempio servirebbe alle spose bambine.
Secondo i dati diffusi dalla “conference on child marriage” organizzata dalle Nazioni Unite, ogni anno circa 15 milioni di bambine vengono costrette a sposarsi o vendute a scopo di matrimonio.
C’è un bosco più nero, più tetro dell’essere cedute ancora bambine? Di rischiare la vita per abusi, malattie e parti precoci, dell’essere condannate allo sfruttamento, del trovarsi sempre in pericolo e senza nessun aiuto?
Certo, serve per prima cosa affrancare le famiglie dalla fame e dalla povertà, permettere e sostenere l’istruzione delle bambine come insegna Malala, ma più di tutto servirebbe un fratello. Servirebbe un’educazione, una visione che permetta ai maschi di considerare donne e bambine non più come oggetti, creature subordinate, pesi o scarti, cose da barattare, usare. Servirebbe un fratello che interrompa la catena dell’abbandono dei grandi, che cammini a fianco, che consideri alla pari la propria sorella e ogni donna.
L’aiuto più urgente per le spose bambine è il più complesso perché chiama in causa i maschi, chiede loro di prendere parola, raccogliere sassi, trovare strade e soluzioni.
Servirebbe davvero un fratello.
Eccolo nella notte nera splendere bianco come il sassolino che ha in tasca.
Arianna Vairo, autrice di questa immagine, sembra dirci che dal bosco scuro si esce insieme, maschi e femmine, guardando nella stessa direzione.
lunedì 14 settembre 2015
Una torre, una chiave
Nello scrivere In mezzo alla fiaba mi ero data un limite stretto. Un testo a fiaba. Questo voleva dire toccare pochi aspetti sceltissimi. Il criterio è stato quello dell'urgenza. Ho scritto ascoltando ciò che emergeva con più forza dalla memoria.
Per Raperonzolo a presentarsi è stata la torre. Senza porte né scale. Un tempo sospeso, prima dell'inizio, una giovane donna chiusa nella torre da un'altra donna.
Mi sono chiesta più volte perché questo simbolo fosse tanto importante per me da essere rimasto intatto. Poi, prima dell'estate, ho incontrato le parole illuminani di Massimo Recalcati nel suo libro Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno (Feltrinelli).
"Mentre l'eredità paterna si snoda attraverso un processo di identificazione idealizzante del figlio al padre, quella materna sembra arrestarsi di fronte all'impossibilità di trasmettere che cosa sia una vera donna. Se la soluzione edipica nell'uomo sfocia nel rafforzamento dell'identificazione al padre e nella sostituzione metaforica della madre con un'altra donna, la donna resta invece una delle incarnazioni più forti, anarchiche, erratiche, senza divisa, impossibile da governare e da misurare, dell'alterità dell'Altro.
...
L'inesistenza di un'essenza universale della donna - lo affermava con forza Lacan: "La Donna non esiste, esistono solo le donne" - inchioda la figlia alla madre come luogo originario dover poter reperire i sembianti necessari per costituirsi come una donna. Il problema è che questa identificazione può strutturarsi solo e sempre parzialmente, proprio perchè la Donna in senso universale non esiste, ma ciascuna, una per una, deve trovare la propria risposta all'enigma del desiderio femminile.
...
La figlia esige dalla madre la chiave per accedere alla femminilità, ma la madre, ogni madre, manca di questa chiave. La soluzione dell'enigma della femminilità è sempre senza modelli, singolare, antiuniversale, particolarissima."
Forse la torre di Raperonzolo è senza porte né scale, senza serrature né chiavi, semplicemente perché la chiave non c'è.
Invece ci sono i capelli. Un simbolo potente dell'energia vitale e della femminilità. Raperonzolo nella torre cresce, cambia. Tutto sembra uguale e bloccato nel tempo tranne i capelli.
Nella mia poesia ho voluto che sembrassero disciplinati ma che in realtà tramassero una fuga, quella della scoperta.
Ricordo un'intervista di Franco Battiato in cui parlando della sessualità citò una frase attribuita a Rābiʿa al-ʿAdawiyya al-Qaysiyya una mistica araba musulmana vissuta nell'VIII secolo, la più venerata donna sufi, che paragonava la sessualità al fumo che, per quanto tu possa chiudere le porte, passerà attraverso le fessure.
I capelli di Raperonzolo nell'immagine di Arianna Vairo sono diventati scale.
Raperonzolo è una bellissima figura che si staglia nuda, che guarda in faccia la luna mentre una corrente di polveri luminose le unisce.
Sembra tentare di carpire da quella falce sottile qualche segreto che la riguardi.
Forse è quello che non è riuscita a sapere dalla madre.
lunedì 31 agosto 2015
Alberi in mezzo al mare
Ho scritto questa poesia per me, perché anch'io ho preferito prendere un sacchetto di fagioli invece che contrattare l'offerta migliore al mercato e per ricordarmi, quando sarà il momento, di lasciare che i miei figli vendano la mucca per uno scambio che lì per lì mi sembrerà svantaggioso.
Volevo dar voce a chi prova una strada diversa, desidera orizzonti più ampi ed è capace di rischiare. Una poesia per bambini e ragazzi che non ascoltano la mamma e provano a spiegare, tenerle testa. Anche perché, prima ancora del successo dell'impresa, c'è l'arrampicarsi verso un luogo nascosto dalle nuvole. Mentre si sale si può guardare il mondo da un altro punto di vista. È questa secondo me la prima vera conquista di chi cresce.
Tuttavia, di mese in mese, davanti alle immagini dei barconi stracolmi, degli sbarchi, degli ammassi di persone che premono alle barriere di filo spinato, io penso spesso alla pianta di fagioli di Jack. Inutile ostinarsi a pensare che migliaia di uomini, donne e bambini, possano continuare per sempre a vendere l’ultima mucca per poi restare a morire. Non è uno sbaglio, non incappano per caso in un vecchio che rifila loro fagioli magici.
I fagioli crescono da soli. La spinta di questi semi è più forte di tutti gl’incantesimi, è l’urgenza di togliersi dalla propria condizione di miseria, di salvarsi dalla violenza e dalla morte. Non c’è rimprovero che tenga, non c’è divieto, non c’è calcolo che scoraggi. Ogni notte queste piante crescono rapide. E uomini, donne, bambini salgono. Sprofondati dentro le stive, accalcati sotto un cielo nero, salgono su onde altissime.
La fiaba è un tessuto che in controluce mi rivela la trama di tante altre storie. Per analogie a volte tenaci, a volte deboli e bizzarre ma non per questo meno vere per me.
Eppure in questi giorni vedo anche un corpo disteso, un freddo mare blu, delle onde bianche di schiuma stringere troppo il loro nodo. E occhi aperti, per poco ancora, quanto basta per farci una domanda.
***
Immagini e versi tratti dal libro In mezzo alla fiaba, Topipittori.
giovedì 27 agosto 2015
Vetro
Piccola anticipazione al limitare dell’estate, il tempo esatto per questo piccolo libro.
Si chiama Vetro.
È un breve racconto che nasce dalle domande attorno alla crescita, al passaggio da una stagione a un’altra. Dentro c’è un’idea e in coda due poesie.
Non è facile, è un tentativo di scrittura sulla soglia.
Ma Vetro, come i ragazzini più tosti, ha saputo essere testardo e l’ha spuntata.
Presto sarà in libreria.
Le immagini sono di Cristina Pieropan che ringrazio.
Pietre e vetri sono raccolti da Beatrice nella sua prima vacanza al mare da sola.
L’editore è il coraggioso Fulmìno.
Fulmino Edizioni
edizioni@fulmino.it
via O. De Giovanni, 16 - Rimini
tel. 340 3941842
giovedì 20 agosto 2015
La poesia più difficile
Questa primavera mi è capitato di portare Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa
intorno (Topipittori) ai bambini della scuola Marconi e
alla scuola Bellini di Brescia per alcuni incontri e laboratori.
Due delle classi che ho conosicuto, grazie alla loro maestra Chiara,
facevano colazione ogni mattina con la poesia. Mi hanno mostrato come. Sulla
cattedra una scatola di cereali tutta decorata. Accanto una tazza. Dentro la
scatola, da prendere con la mano o un cucchiaio, biglietti con i testi di tante
poesie. Si pesca e si legge una poesia a sorpresa prima di iniziare la giornata.
Un regalo, un ascolto gratuito che ripetuto giorno dopo giorno diventa un
nutrimento continuo e profondo.
È stato in una
di queste classi che, al momento delle domande, una vocina mi ha
chiesto: «Qual è la poesia che ti è sembrata più difficile da scrivere?». Era una bella domanda. Quei bambini
avevano chiaro che la poesia può dire cose grandi e difficili, può suscitare
domande, emozioni forti. Anche in chi scrive.
Quando scrivo poesie, scrivo piccino e ingarbugliato.
Lettere come anelli, diverse cancellature, ritorni, linee tirate sopra.
Poi ricomincio e riscirvo tutto da capo. Tre, quattro volte. Più o meno le
stesse cose, spostando sempre un poco, cercando di mettere a fuoco. Quando la
poesia è fatta, la rileggo più volte. Quando la so a memoria capisco se c’è o
non c’è.
Ma una volta detta, è detta. Difficile tornare in dietro
anche se la cosa che ho scritto non è piacevole, mi rivela qualcosa che non
desidero ascoltare in quel momento, sbroglia una matassa complicata che non
avevo voglia di lavorare.
La poesia sa dire la verità e, a volte, me la dice nel finale. Al liceo il mio professore di
letteratura italiana e latina, chiacchierando delle mie
poesie, mi fece un complimento con un prestito strano: fulmen in clausula o in cauda venenum. Avevo e ho davvero
ben poco a che fare con Marziale ma è vero che mi piace lasciare in coda qualcosa che
resti come una piccola spina. Nella dolcezza, nella sorpresa o nella durezza.
Volevo rispondere alla domanda sulla poesia più difficile e mi è venuto in mente un testo in particolare che si trova nel libro di poesie In
mezzo alla fiaba (Topipittori, illustrazioni di Arianna Vairo).
Dopo averla scritta mi ero chiesta a lungo se poteva essere una poesia per bambini. La
chiusura era dura. Diceva una cosa che non volevo dire, che non mi piace dire
né fare, che con tutte le forze cerco di imparare a rifiutare.
Male per male.
Però la voce che parla nella poesie parla ai capretti. E c’è
un lupo che bussa e si camuffa nel peggiore degli inganni. Allora per ripondere
alla domanda sulla poesia più difficile ho raccontato qualcosa di questa poesia
e l’ho letta ad alta voce.
Ai bambini si chiede di essere gentili. Buoni. Educati.
Generosi. Affettuosi, misurati, fiduciosi. Bene. Putroppo bisogna anche che
siano pronti a mordere, urlare e dare calci nel sedere.
Alla fine abbiamo riso. Io ero un po’ commossa.
Una fiaba, una delle prime che ho ascoltato, una fiaba breve
di quelle che facilmente si tengono a memoria. In me ha suscitato rime chiare e
un pezzetto del mistero del male.
Miei capretti, occhi aperti.
***
Grazie ad Arianna Vairo per queste zampe rosse.
Grazie per i capretti che sono sei così ogni volta li conto
con i bambini e finiamo per essere d’accordo che il più piccino si è già
nascosto nella pendola.
Grazie infine per quella porta che divide, per quel campanello che di sicuro non c’era nella
casa dei capretti ma nelle nostre case sì.
mercoledì 19 agosto 2015
Agosto
In agosto soprattutto, più esposti
la pelle al troppo sole il cuorealle tagliole - è fitto il nostro bosco
di bestiole ciascuna può incappare
in lacci buche fauci. Amore,
andiamo insieme. La durezza
della stagione non si vede sulle prime
ma tu sai io so che l'estate ha le sue spine.
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