martedì 22 dicembre 2015

Vetro prima di Vetro


Vetro è nato davanti al mare. Due figlie, Beatrice di dodici anni e Teresa di cinque.
Stavamo per entrare in acqua quando Teresa ha raccolto un piccolo frammento verde bottiglia scovato in mezzo alla sabbia e a pezzettini di conchiglia. Era così sorpresa del colore, della forma che ha pensato subito a uno strepitoso ritrovamento, una pietra preziosa, forse magica. Mentre me lo mostrava mi sono ricordata che anni prima anche Beatrice aveva giocato con dei frammenti molti simili. Avevamo pure inventato una storia. Mentre cercavo di riacchiapparla nella memoria, Teresa va da lei per mostrarle quello che ha trovato. Mi volto per osservare. Eccole: Beatrice guarda l’orizzonte largo e luminoso, i piedi in acqua. Teresa alza le mani a coppa, lei abbassa lo sguardo e le dice: «Lascialo giù, è solo un vetro».
Non era una scortesia, né un dispetto. Era quello che vedeva. Tanto che Teresa non si è scoraggiata affatto ed è tornata da me, si è assicurata che lo mettessimo al sicuro e poi siamo entrati tutti in acqua.
Entrare nell’adolescenza è davvero entrare in una galleria. Tutti ti avvertono di una trasformazione imminente, anzi già in atto. Ma il vero, primo ingresso nell’adolescenza è forse un attimo preciso di consapevolezza.

Sarà capitato a tutti un qualche momento particolare verso l’inizio dell’adolescenza in cui improvvisamente abbiamo avuto consapevolezza della vita e del mondo che ci circonda, della loro complessità e della loro finitezza. È stato un momento emozionante, contemplativo, confusamente carico di meraviglia e di dolore. (…) “Ma allora è dunque questo la vita?”, dove “questo” sta a indicare qualcosa di duro, di inscalfibile, di spietato e nel contempo di ipnotico e seducente, che affascina nell’istante stesso in cui delude irreparabilmente. La seconda nascita, Fenomenologia dell’adolescenza di Giuseppe Pellizzati, Franco Angeli.

Duro, inscalfibile, spietato. Vetro.
Così, nei mesi successivi, seduta a bordo campo mentre Beatrice giocava le sue partite, mi sono portata dietro questo pensiero e ho provato a scrivere un breve racconto.
Quando l’ho terminato mi sono ricordata di un testo scritto a sedici anni e utilizzato in una minuscola mostra che avevo allestito in un piccolo borgo l'anno successivo.

“Cuore mio/ pezzo di vetro/ attraverso vedo distorto”, iniziava così.



Era quello che sentivo. Più mi studiavo e mi guardavo in quel momento e meno mi afferravo. Sentivo il bisogno di un pensiero tagliente che facesse ordine. Attraverso il cuore non vedevo chiaramente. Per la mostra, dopo aver provato varie soluzioni (in giro con mia mamma su una Renault 5 per vetrerie di campagna) mi decisi per una mattonella di quelle da bagno o da piscina e incorniciai il testo mettendolo sotto vetro. L’effetto era quello che volevo io.
Così ho recuperato parte di quel testo e l’ho completato. Il testo scritto a quattro mani con me stessa è finito in quarta di copertina.



Quando il libro è uscito mi sono chiesta se quella mattonella ci fosse ancora. Ho saputo che mio padre l'aveva conservata nel suo garage. Sono andata prenderla e l'ho fotografata con il testo nuovo.



Crescere è emozionante e complicato. A volte si passa per sentieri difficili nei quali si hanno rivelazioni inaspettatamente deludenti e seducenti insieme.
Quest’anno spero mi capiterà di scrivere con i ragazzi. L’editore Fulmìno (edizioni@fulmino.it) ha infatti preparato delle bellissime cartoline. Sono state pensate per scrivere a se stessi, come fa la protagonista del racconto. Un promemoria su chi siamo in questo momento, su cosa ci piace, cosa desideriamo, cosa ci fa paura. Così, usciti fuori dalla galleria, sapremo riconoscerci e salutarci come si deve. Perché per tante cose che si lasciano andare ce ne sono altre che resteranno. Per me ad esempio, una cornice con un vetro, l'inizio di una poesia e il nome scritto a destra su un foglio di acetato nella fotografia in alto.

P.S.
Questa è la recensione di Vetro scritta per la rivista Andersen da Caterina Ramonda che ringrazio di cuore.



lunedì 14 dicembre 2015

Poesia in coda




Duro intelligere e morbido sentire
il peggio che ci possa capitare.

Sono affezionatissima a questo distico di Patrizia Cavalli perché descrive esattamente le persone che più mi incuriosiscono e con le quali mi sento in sintonia. Antonio, per dire, me lo sono scelto così.
"Duro intelligere". Magari sbaglio ma ho sempre inteso con queste parole l'affondo del pensiero senza sconti, quello che tocca le giunture, che non si ferma finché non ha portato a compimento la sua indagine. Ecco, quando questo modo di vedere le cose si incontra con un sentire "morbido", capace di accogliere, di compatire e sentire l'altro profondamente allora si è dentro a un orizzonte scomodissimo ma, per il mio punto di vista, pienamente umano, contraddittorio, fecondo.
Appena ho conosciuto Giovanna Zoboli sono stata certa che questo "peggio che possa capitare" fosse toccato anche a lei.
Qualche settimana fa ho ricevuto in regalo le sue poesie, due libri.
Prima avevo letto solo un paio di poesie postate sul blog Topipittori che mi avevano molto colpita: una dedicata a un gatto triestino (http://topipittori.blogspot.it/2012/07/il-gatto-dei-topi.html) e l'altra a un particolare della pala di Brera di Piero della Francesca (http://topipittori.blogspot.it/2014/04/ab-ovo.html).
I libri però non li conoscevo.
Me li sono portata a spasso in questi giorni. In particolare durante i colloqui dei figli. È stato interessante. Non solo perché le poesie di Giovanna sono veramente belle, con il suo gusto per il suono, per la chiarezza, la nitidezza della sua ricerca ma anche il senso profondo, la compassione che si legge in ogni pagina e che ha fatto sorgere qualche considerazione come note a margine del pomeriggio speso nei corridoi illuminati dai neon.
Per chi frequenta i colloqui sa che, di norma, più si sale di grado con la scuola più sale il coefficiente di nervosismo e litigiosità degli adulti in attesa. L'ordine in coda non è rispettato, ci si apposta, ci si scruta, qualcuno lascia un figlio, una zia, la nonna a tenere il posto, la geografia dei volti si confonde, saltano i punti di riferimento, le notizie dietro la porta possono essere non ottime, poco soddisfacenti, cattive. E poi c'è la questione tristissima della competizione tra genitori che si riconoscono tra loro nemmeno avessero un cip e si mandano segnali ostili così potenti che friggerebbero un uovo se questo fosse sospeso in aria.
Beatrice ora è al secondo anno del liceo musicale, Giovanni alle medie, Teresa ancora alla primaria. Diciamo che facendo almeno 4 colloqui all'anno per ogni figlio a questa data abbiamo ormai un buon campionario (se ho fatto bene i conti siamo sui 72 colloqui senza contare gli anni della scuola dell'infanzia). Siamo stati abbastanza fortunati con la scuola in genrale, con gli abbinamenti, le classi, gli incarichi annuali, le sostituzioni. Ma anche quando tutto fila liscio può sempre capitare che tuo figlio semplicemente non sia stato "visto", messo a fuoco, che ti parlino quasi di una figuretta piatta, un numerino, un cognome. Come si spiegherebbe altrimenti la gratitudine che proviamo quando un professore dimostra di aver presente (nel bene e nel male) di chi si sta parlando?
Quindi? Quindi è utilissimo portarsi un libro di poesia mentre siamo in fila per ascoltare quello che i professori hanno da dire dei nostri figli.
Per ricordarci che il mondo è molto più grande di quella scuola. Che i nostri figli sono molto più forti, hanno molte più risorse e più potenzialità ma anche che possiedono più lati nascosti, più fragilità, più bisogni di quello che certificano i loro voti. Che mai dovremmo confondere le prestazioni scolastiche con il loro volto. Che tutto è più complesso e occorre una maggior cura dentro e fuori la scuola.
Che il mondo è più bello, più misterioso, più cupo e più luminoso insieme.
Duro intelligere, morbido sentire. Ecco quello che ci serve.

Per i prossimi colloqui, se volete passare un pomeriggio interessante, portatevi un libro di poesia in borsa. Brevi letture. Sbirciatine. Se poi vi prende particolarmente, vorrà dire che qualcuno vi ruberà il posto nella fila ma guadagnerete in pazienza, ampiezza, chiarezza della visione e tenerezza insieme, tornerete a casa con la voglia di dare un bacio ai vostri figli comunque sia andata.
E se volete fare questo esperimento io vi consiglio di cuore La solitudine dell'ospite (Manni) e  A Milano nessuno è milanese (LietoColle) di Giovanna Zoboli.

Il suo sguardo è acuto, l'affondo del pensiero potente, alta la compassione che si posa su tutte le cose, sincero il suo sentire e il suo coraggio di nominare anche ciò che non si vede (e che si sa, è la parte che rimane spesso fuori delle griglie di valutazione e non di rado la più interessante).

 
 

 




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